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da UNA ROSA NEL CUORE

da 6.2 Unire è impossibile? (pagg. 117-118)

Nel 1972 le compagne del Manifesto erano state tra le promotrici dei primi Collettivi femministi comunisti, contestando radicalmente le tradizionali commissioni femminili di partito e sindacali. “L’obiettivo prioritario per le compagne femministe del Pdup per il comunismo è la costruzione e la crescita di un movimento politico delle donne, autonomo, unitario e di massa; […] l’autonomia del movimento delle donne è l’unica garanzia di un reale superamento in senso rivoluzionario della contraddizione uomo-donna che attraversa, orizzontalmente e verticalmente, l’attuale società borghese e patriarcale.”
Sono le prime righe della mozione presentata da Giuseppina Ciuffreda e votata a maggioranza dal Congresso con la quale veniva ratificata l’istituzione del “Coordinamento femminista [per consentire] di porre in modo corretto e nuovo, nei confronti del classico schema terzinternazionalista della commissione femminile, il rapporto partito-movimento”.
Data la premessa, le presentatrici della mozione, in netta divergenza con il documento presentato da Ernestina Baldini, si dichiaravano “contrarie a un gruppo misto (più o meno tendenziale) che riproduce i limiti e la logica della commissione femminile” ritenendo che “reali momenti di autonomia delle compagne, non disgiunti da un confronto dialettico con tutte le strutture del partito, [fossero] l’unica strada che può permettere al nostro partito di lavorare coscientemente per la rivoluzione e per la liberazione della donna”.
Il movimento femminista stava prendendo a spallate tutte le certezze sulle quali, fino a quel momento, si era costruita la narrazione delle “magnifiche sorti e progressive”.
Per consultare l'articolo di Luciana Castellina "Quella differenza che ripensa il mondo" [CLICCA SULLA FOTO]
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