Luisa Cavaliere: Nilde Iotti - Maria Pacini Fazzi Editore (2016)
NILDE ED IO
Ci siamo incontrate la prima volta all'alba degli anni '70 del secolo scorso, alla scuola di Partito. La chiusura del corso era affidata a lei, Nilde. Leonilde era il suo nome intero inflittole in ricordo di una zia paterna morta prima che lei nascesse. Deputata da più di vent'anni (continuerà ad esserlo per tanti altri ancora), componente della direzione comunista. Una signora non esile che, da ragazza, aveva fatto innamorare Palmiro Togliatti detto da ironici avversari, "il Migliore" con un soprannome che alludeva ad un suo tratto naturalmente... modesto, vivendo una storia d'amore che, riletta, restituisce in tutte le sue pieghe, nelle sue sfumature. lo spessore, la cultura politica, le contraddizioni, le ipocrisie, i silenzi, l'etica, la doppia (qualche volta anche... tripla) morale d quella straordinaria esperienza italiana che è stato il PCI. Un vestito di seta blu con minuscoli disegni di colore contrastante, una giacca appoggiata sulle spalle (era d'estate), le scarpe comode senza l'ardire dei tacchi alti, un filo di perle e una pettinatura perfetta. Quasi una scultura che faceva tutt'uno con la testa. [...]
In silenzio seguivamo il cammino delle istituzioni democratiche narrato da lei che a ventisei anni aveva contribuito a disegnarne l'impalcatura come componente dell'Assemblea costituente. [...]
Non ci sarebbero mancate altre occasioni, ne era certa, ci disse salutandoci una per una con un sorriso che tradì, per un attimo, forse anche tenerezza per quelle ragazze certamente un po' troppo impertinenti (venivamo quasi tutte dal movimento della fine degli anni '60 e ne eravamo segnate nel modo di vestire, di parlare, di contrastare e discutere) e lontanissime da quello che lei era stata. [...]
L'occasione che, a detta di Nilde (solo gli anni e la lontananza nel tempo mi consentono di chiamare così la compagna, la presidente, la signora delle istituzioni, l'onorevole Iotti alla quale, forse, neanche la figlia dava con disinvoltura il tu), non sarebbe mancata, mancò. E mai più ho potuto porle quelle domande che hanno accompagnato il mio rapporto con la politica e con il PCI fino al suo dissolvimento.
LA QUESTIONE FEMMINILE
La scuola a Frattocchie era una bella villa con un giardino pieno di ortensie azzurre. L'aveva donata al Partito (che esigeva la lettera maiuscola un po' come Dio) un facoltoso militante divorato dai sensi di colpa o solo convinto che la proprietà privata fosse un furto e che la refurtiva dovesse essere restituita al legittimo proprietario: la classe operaia o, in assenza, al suo Partito. Mi era toccato, per una inequivocabile appartenenza di genere, un corso sulla "questione femminile". Una prova che avrebbe dovuto dissipare i dubbi su di me provocati dal "peccato originale" della mia provenienza piccolo borghese. Frattocchie avrebbe dovuto sbiadire quella macchia originale e, a purificazione ottenuta, rimettermi in cammino vero il futuro. Discutevamo in giardino o in una delle nostre stanze spartane dopo cena, fino a tarda ora. Assorbivamo saperi e modelli dentro l’emancipazione negata, i diritti violati, il rapporto tra lavoro e famiglia. Una lezione dedicata alla Terza Internazionale mi fece imbattere in Rosa Luxemburg e nel bel racconto che di lei faceva Lelio Basso, suo raffinato lettore. Una straordinaria rivoluzionaria, affascinante, colta, ironica e rigorosa che aveva discusso e polemizzato senza timidezze anche con Lenin. Rosa che scrivendo del primo libro del Capitale di Marx (io nei miei numerosissimi tentativi di lettura non sono mai riuscita a superare la ventesima pagina) aveva commentato «con il suo sovraccarico di ornamenti rococò in stile hegeliano per me adesso è un orrore (cosa per cui meriterei per il partito cinque anni di carcere duro e dieci di perdita dell’onore)». [...]
Compravamo libri e riviste indispensabili ad una formazione moderatamente rivoluzionaria e tutta dentro l'orizzonte dei diritti e della parità, ignara, deliberatamente, dell'insorgere del femminismo che di lì a poco avrebbe sottoposto quell'orizzonte ad una radicale messa in discussione svelando come essenziale posta in gioco, l'origine patriarcale della convivenza. [...]
Che fine hanno fatto i comunisti e le comuniste? Come è potuto accadere che quella appartenenza piena di passione e per la quale in tanti e in tante avevano perfino sacrificato la vita, sia diventata una colpa?