da Una Rosa nel cuore 4.2 Lei ha letto Cooper?
Ci costruimmo una nostra bibliografia, scambiandoci testi e spesso discutendoli nel gruppo più ristretto di compagne e compagni, più o meno coetanei e tra i quali si era venuta a creare una maggiore sintonia, in qualche caso una vera e propria amicizia.Nel 1973 Feltrinelli aveva pubblicato Dalla parte delle bambine, un testo con il quale Elena Giannini Belotti svelava, dal versante pedagogico e sociologico, l’influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile, già dai primi anni di vita. Anche la nostra “educazione sentimentale”, piena di domande e di curiosità, passò per L’arte di amare di Erich Fromm e ancora di più per la lettura di Wilhelm Reich. Volendone forzare il pensiero, ci “incitava” a praticare l’antifascismo superando la nostra repressione sessuale e alcuni di noi riuscirono a prenderlo maggiormente in parola anche senza terminare l’impegnativa lettura di Psicologia di massa del fascismo. Per i suoi risvolti pratici risultò di più immediato conforto il piccolo manuale Se tuo figlio ti domanda, scritto dalla moglie Annie Reich e pubblicato da Savelli nel 1973. Ovviamente, ci fu anche la possibilità di approfondire la “teoria”, frequentando il Centro Reich che Federico Navarro aveva fondato a Mergellina e che ci introduceva anche all’attenzione verso forme nuove di pedagogia. Non ci facemmo mancare lo “studio” di Porci con le ali che, provvidenzialmente, due persone “serie” come Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice avevano pubblicato, ricorrendo a uno pseudonimo, per la casa editrice Savelli. Mentre parti rilevanti dell’ortodossia comunista, anche di seconda generazione, guardavano con sospetto a tutto quanto si muoveva al di fuori del rigoroso perimetro della lotta di classe, del conflitto tra proletariato e capitale, noi ci predisponevamo alla contaminazione, semmai andando a ricercare i tanti fili rossi che potessero tenere insieme “il sacro con il profano”. Un contributo decisivo alla causa lo diede la Festa che si tenne a Licola dal 18 al 21 settembre del 1975, organizzata da Lotta Continua, Avanguardia Operaia e Pdup. Decine di migliaia di ragazze e ragazzi abitarono, senza soluzione di continuità, la pineta, la spiaggia, lo spiazzo polveroso dove si tenevano i concerti serali. Da Mercato San Severino vennero in una ventina. Il risicato gruppo che aveva gestito la campagna elettorale del 1972 si era ingrandito e, soprattutto, si erano aggiunte diverse compagne alle quali i fascisti avevano pensato bene di dedicare, su uno dei muri principali del paese, la scritta: “femministe puttane”. Il programma ufficiale prevedeva una ricca offerta di incontri e dibattiti dal taglio più o meno politico ai quali si aggiunsero, prendendo il sopravvento, numerose altre iniziative autorganizzate, gestite soprattutto dalle femministe e dai circoli che facevano riferimento al Fuori. Per tanti di noi fu “la prima volta” per rompere i tabù ai quali eravamo stati educati e imparammo a distinguere tra uno spinello e l’eroina, tra l’attrazione fisica e il peccato. A non scandalizzarci per un bacio tra persone dello stesso sesso. Scoprimmo che è liberatorio fare il bagno denudandosi e, se arriva la polizia, è ancora più divertente organizzare un enorme girotondo al grido di «Nudi sì, ma contro la Dc!». La luna di Licola vide nascere amori poi durati per anni e relazioni che si sciolsero con un sorriso la sera stessa. Era stata installata una radio da campo che, per farsi un’idea, ricordava quella del film Good Morning Vietnam. Era gestita da una vera e propria redazione, composta dai giornalisti dei tre quotidiani (Lotta Continua, il manifesto e Quotidiano dei lavoratori) delle organizzazioni promotrici del Festival. L’idea della radio avrebbe anticipato l’epoca delle “radio libere” cantate da Eugenio Finardi nel 1976, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ne consentiva la diffusione. Niente di particolarmente politico ma, per anni, abbiamo canticchiato: “Se una radio è libera, ma libera veramente, mi piace ancor di più, perché libera la mente”. In tutto questo caotico percorso, naturalmente, le “compagne femministe” andavano avanti, veloci, verso l’inesplorato, anche indirizzando i propri percorsi di studio e professionali. Ci frequentavamo e le seguivo con ammirazione, con rispetto, perfino con una punta di invidia ma sapevo, me lo avevano insegnato con le parole e con i comportamenti, che sarebbe stato sbagliato, mistificatorio, provare a scimmiottarne le pratiche e ancora di più utilizzarle strumentalmente.
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