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da UNA ROSA NEL CUORE 6.2 Unire è impossibile?

Con un eccesso di superbia che, d’altra parte, non era mai mancata fin dal momento della fondazione della rivista, i dirigenti del Manifesto avevano dato definitivamente per risolta la questione con la pubblicazione del Quaderno "Classe, Consigli, Partito" nel quale era chiaramente riportato l’orizzonte politico e culturale nel quale collocarsi. Non a caso, il testo si apre affermando che “la tentazione di tornare a una concezione del  partito e a una pratica organizzativa di tipo leninista-ortodosso è oggi molto forte. Noi, ad esempio, la sentiamo quasi ogni giorno. Ma pensiamo anche che occorrere resisterle”. Ma, evidentemente, tra i nuovi partner non tutti l’avevano letto o condiviso e, sicuramente, non erano arrivati al punto di dedicargli gruppi di studio o esami universitari. Anche per questo motivo rimasi profondamente deluso quando, durante il congresso della sezione “zona industriale”, mi ritrovai a votare mozioni contrapposte con Michele, con il quale avevo condiviso tante importanti riflessioni.
Dall’altra parte il tormentone della “complessità”, il bisogno di “profondità” politica per non ricadere negli errori del passato e la forte consapevolezza dei propri limiti, trovavano fondamenta nelle righe conclusive del saggio introduttivo al Quaderno Classe, consigli, partito, di giugno 1974. Rileggendolo, a distanza di quasi cinquanta anni da quegli eventi, non si riduce l’amarezza per un tentativo che non riuscì mai a decollare fermandosi, ancora prima del nascere, sulla soglia di una prospettiva ideale che, così come era avvenuto con Rosa Luxemburg e gli Spartachisti, stentava a trovare ascolto e radicamento. “Un nuovo partito rivoluzionario, che abbia il respiro e le caratteristiche di cui abbiamo parlato, non può nascere, in Italia almeno, senza una ristrutturazione generale della sinistra […] Rifondazione della sinistra non vuole dire ricostruirla a partire solo da terreni e spazi vergini, organizzando gli indipendenti e gli spoliticizzati. Non ci sarà ristrutturazione della sinistra senza un coinvolgimento profondo del patrimonio di quadri e di idee rappresentato in Italia dal Partito comunista e senza l’apporto delle nuove forze emerse dalle lotte del ‘68. […] Perciò dobbiamo sapere, con molta lucidità, che per molto tempo non avremo le forze, la caratterizzazione teorica, i legami di massa necessari a operare pienamente come un partito rivoluzionario. Questo senso del limite ci eviterà errori di settarismo, impazienze nella nostra vita interna; ci consentirà anche di affrontare in modo graduale e costruttivo i nodi politici ancora non sciolti, ad esempio tra Manifesto e Partito di Unità Proletaria […] ci deve spingere a combattere la tentazione di ritagliarci un ristretto spazio politico tradizionale. Ecco perché serve, perché è urgente, un grosso dibattito, uno sforzo di ricerca, troppo a lungo trascurato, tra noi e con gli altri, sul problema del partito nei termini più di fondo possibili, rifiutando le vecchie formule ma anche le soluzioni nuove troppo facili.” Al contrario, nei pochi anni di convivenza, spesso vissuta da “separati in casa”, sarebbe riuscito il capolavoro di perseguire, contestualmente, vecchie formule e nuove soluzioni troppo facili.
la tessera n. 0826 del 1978 recupera, ingrandita, la sola immagine di Antonio Gramsci e la parola d’ordine: “democrazia, movimenti politici di massa, programma comune”, indicando un percorso che il gruppo dirigente del Partito di Unità Proletaria per il Comunismo, al termine di un complesso percorso di scissioni e unificazioni che avrebbero coinvolto la minoranza di Avanguardia Operaia e il Movimento Lavoratori per il Socialismo, perseguirà fino al 1985, anno nel quale fu deciso il rientro nel Partito Comunista Italiano, da pochi mesi orfano di Enrico Berlinguer.
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