da Una Rosa nel cuore 2.1 La pasta al pomodoro - Giovanni Paonessa official web site

official web site
CharitY
Vai ai contenuti

da Una Rosa nel cuore 2.1 La pasta al pomodoro

Il mio piatto preferito? Senza alcun dubbio la pasta al pomodoro. Ancora ricordo il sapore di quella che mi preparava mia nonna, d’estate. Cipolla rosolata solo per qualche istante, pomodori freschi e basilico in quantità, ziti spezzati a mano dei quali la parte migliore erano le schegge che si formavano a seguito della rottura irregolare, una spolverata di formaggio ricavata utilizzando un’enorme grattugia in metallo. Non credo che fosse parmigiano. È arrivato sulle nostre tavole molti anni dopo, simbolo di benessere e di omologazione dei gusti. Molto probabilmente si trattava di provolone indurito. Mia nonna assecondava i miei capricci, i miei vuommechi, e si impegnava, con il supporto di un passaverdura, a eliminare tutte le pellecchielle di pomodoro, in modo che il sugo ne risultasse del tutto privo. Il mio rapporto con i pomodori e con le procedure per eliminarne la buccia è iniziato intorno ai cinque anni e non si è più interrotto. I pomodori hanno accompagnato i periodi più importanti della mia vita. L’hanno segnata profondamente. È del tutto evidente che non ho intrapreso la carriera del cantante lirico o dell’attore di teatro, altrimenti li avrei considerati in tutt’altra chiave e, forse, ne avrei avuto tutt’altro ricordo.
[...]  Le cassette di pomodori si acquistavano direttamente dai contadini e la materia prima veniva sottoposta a un’energica attività di lavaggio e sgocciolatura che consentiva anche di eliminare eventuali scarti e presenze improprie. Poi, dopo essere stati scottati per qualche minuto, i pomodori venivano tritati con un macchinario azionato a manovella che separava la buccia e i semi dalla polpa. Ai pomodori sanmarzano di migliore qualità, la buccia veniva tolta a mano delicatamente, in modo da poterli conservare nei barattoli interi oppure, divisi in quattro parti, a pacchetelle. La passata veniva travasata nelle bottiglie, ma su questo punto si scontravano diverse scuole di pensiero in merito alla necessità di procedere con un’ulteriore fase preventiva di cottura. A noi più piccoli, che ci contendevamo brevi turni alla manovella venendo tempestivamente “licenziati” poiché rallentavamo tutto il ciclo produttivo, con maggiore generosità veniva concesso di aggiungere una foglia di basilico nelle bottiglie, ma eravamo anche adibiti al trasporto delle bacinelle con le bucce e i semi, riutilizzati per nutrire le galline o per concimare gli orti. Le bottiglie, in origine, erano chiuse con tappi di sughero rafforzato da una gabbietta di spago. Solo in seguito ho visto utilizzare i tappi a corona. Nel mentre le fasi prima descritte erano prevalentemente se non esclusivamente appannaggio delle donne, la chiusura ermetica delle bottiglie era rigorosamente affidata agli uomini che manovravano, con scioltezza, il marchingegno a leva (semplice o doppia) adatto alla bisogna. Sempre gli uomini, poi, curavano la fase della bollitura, predisponendo con attenzione le bottiglie in enormi bidoni pieni d’acqua, separandole con stracci per evitarne la rottura, e alimentando la fornace su cui erano adagiati i bidoni. Noi eravamo avvantaggiati dalla disponibilità di carbone, ancora utilizzato per le locomotive a vapore che trainavano i carri merci e “concesso” ai ferrovieri per il riscaldamento domestico. L’esito finale della giornata di duro lavoro si sarebbe conosciuto soltanto la mattina successiva, quando l’acqua finalmente fredda avrebbe consentito il conteggio delle bottiglie rotte, il cui numero sarebbe risultato un implacabile indicatore di successo o di delegittimazione del fuochista, responsabile delle operazioni finali. Data la premessa, mi sembrava del tutto inspiegabile che fosse necessario acquistare le conserve di pomodoro dal salumiere. Faceva eccezione la salsina, un concentrato di pomodoro che veniva venduto a peso, appoggiato su fogli di carta oleata e che, ne sono convinto, mia nonna aggiungeva al suo sugo per raggiungere la giusta cremosità.
Giovanni Paonessa - official web site
info@giovannipaonessa.it


Torna ai contenuti